3 aprile 2010.
PESCOMAGGIORE _ IL PROGETTO EVA.
Piano case? Ecologico e ad alta partecipazione.
di Beyond Architecture Group
I paesi sparsi nell’area del terremoto, li abbiamo conosciuti a fondo. Per giorni avevamo tradotto in cifre gli effetti del terremoto sulle strutture delle abitazioni, fatto sopralluoghi, compilato verifiche di agibilità, scritto relazioni. Così abbiamo deciso di utilizzare la nostra esperienza sul territorio, consapevoli dell’enorme quantità di lavoro e della necessità di tecnici specializzati per affrontarlo.
Quasi per caso conosciamo Antonio, Dario e i ragazzi del Comitato per la Rinascita di Pescomaggiore. Loro volevano trovare un modo per restare nel proprio paese e noi cercavamo chi volesse ascoltare le nostre soluzioni: è così che è nato il progetto. La progressiva stratificazione delle idee si è tramutata in realtà attraverso l’ascolto. Pensiamo infatti che solo attraverso una trasparente collaborazione tra popolazione, autorità locali, professionisti e imprese, si possa trasformare un avvenimento naturale disastroso in un punto di partenza per un efficace ricostruzione, nell’ottica di ridare una casa a chi l’ha persa e un’occasione di rinascita a chi non crede che ciò possa avvenire in un sistema globalizzato che tende ad orientare verso la chiusura in se stessi e il deterioramento dei rapporti sociali.
La nostra idea di base era quella di costruire in maniera ecologica, lontano dalle speculazioni. E soprattutto di coinvolgere gli abitanti, analizzare le loro abitudini le tradizioni e i bisogni nati dopo il terremoto. Abbiamo così individuato due linee essenziali nello sviluppo del progetto E.V.A.: riconfigurare il rapporto professionista-cliente-costruttore attraverso un percorso partecipato e realizzare strutture a basso impatto ambientale in autocostruzione.
Il percorso di progettazione partecipata è stato strutturato in due fasi strettamente legate: la prima, con un’indagine-ascolto sul territorio che consentisse di valorizzare la ricchezza dei punti di vista di tutti i membri del Comitato; la seconda con un laboratorio progettuale che avesse come scopo lo sviluppo di proposte creative con il metodo della discussione di gruppo, in cui si avanzano suggerimenti senza esprimere giudizi sulle idee degli altri, ma sviluppando un’interazione costruttiva.
Ciò che conferisce un valore aggiunto al progetto è soprattutto il rendere gli abitanti partecipi della trasformazione del proprio territorio. E qui che il coinvolgimento si estende dalla progettazione e al cantiere grazie all’autocostruzione, prolungando la possibilità di confronto e scambio tra professionisti e abitanti. Sentirsi parte di un progetto vuol dire parteciparvi dal momento della sua ideazione , quando ogni contributo può lasciare un’impronta. Questo avviene quando i desideri e i bisogni trovano possibilità di espressione e di ascolto, quando ai dubbi corrispondo risposte da parte di quei professionisti che possiedono le giuste competenze. Alcune delle soluzioni costruttive che non sarebbero state comprese ed accettate senza un processo partecipativo, vengono così fatte proprie dai “non addetti” che costituiscono e costruiscono il progetto.
Da qui il tentativo di riscatto alla ricerca di un operare giusto, cosciente e complesso, rapportato alla natura e motore di solidarietà, un operare che si ritrova nella pratica del costruire in comunità la propria casa. L’anima dell’antico paese può rivivere nelle singole persone e nei rapporti di gruppo: la complessità di relazioni, l’abitare, il lavorare, il ritrovarsi e mille altri comportamenti diventano fatti inscindibili tra loro e lo spazio si conforma a essi organicamente.
Così una prassi operativa autogestita di mutuo aiuto, che ricorda molto da vicino il caso di Nuova Portis dopo il terremo del Friuli del 1976, diviene un campo in cui sperimentare anche un metodo d’intervento capace di utilizzare il potenziale di quella che si può definire una “dimensione nascosta”, trascurata dal piano statale di ricostruzione e al di fuori dei meccanismi di mercato. Ma auto-costruire le abitazioni è un’esperienza insieme gratificante e difficile: si è resa necessaria la partecipazione di volontari e volontarie, anche non specializzati. Lo scambio continuo porterà all’effettiva corrispondenza tra bisogni espressi e risultati ottenuti.
Questo, unito all’impiego di materiali economici, di facile reperibilità e con buone prestazioni tecniche come la paglia, con cui sono realizzate le tamponature degli edifici conferisce all’esperienza di Pescomaggiore una qualità intrinseca che mostrerà tutta la sua solidità nel tempo. Finita l’emergenza, il villaggio potrà avere un’utilizzazione sociale e turistica, con la riqualificazione del territorio e dei suoi paesaggi montani, continuando a coinvolgere nella gestione gli abitanti.