settembre 2011.
E.V.A. ha cacciato il Serpente. L’autocostruzione contro le non logiche del post-terremoto.
Paolo Robazza e Fabrizio Savini – B.A.G.
– Beyond Architecture Group * con Caleb Murray Burdeau
di Andrea Cantini
Se i tempi non chiedono la tua parte migliore, inventa altri tempi
Stefano Benni
Ventitré secondi che cambiano la vita. Sono quarantatré gli abitanti di Pescomaggiore, nel Parco Nazionale Gran Sasso, che il 6 aprile 2009 alle 3:32 hanno perso la casa. Pochi, se si pensa ai numeri del terremoto di magnitudo 5.9 della scala Richter che ha colpito il territorio dell’Aquila. Ma sufficienti per riscoprire il senso di una comunità capace di elaborare concretamente un tentativo di riscatto alla ricerca di un operare giusto, cosciente e complesso, rapportato alla natura e motore di solidarietà. Un operare che si ritrova nella pratica dell’autocostruzione, nel ricostruire in comunità la propria casa. Nel paese è sembrato infatti da subito evidente che non ci sarebbe stata nessuna rinascita se la piccola comunità di residenti non avesse avuto la possibilità di rimanere a vivere in prossimità del paese. Così qualcuno ha deciso di non aspettare con le mani in mano che arrivasse il proprio turno, ma di rimboccarsi le maniche e trovare soluzioni alternative al sorteggio per gli alloggi nelle new-town aquilane. È da questa volontà che è nato il progetto di ricostruzione E.V.A. – Eco Villaggio Autocostruito, promosso dal Comitato per la Rinascita di Pescomaggiore, in collaborazione con B.A.G. – Beyond Architecture Group, guidato dagli architetti Paolo Robazza e Fabrizio Savini, e con l’assistenza tecnica di Caleb Murray Burdeau. Peschio (“macigno”) maggiore ( “grande”). Il terremoto è ancora oggi un macigno sugli aquilani che ha inciso a fondo, penetrando, scavando e lasciando una traccia che rimarrà per sempre incancellabile. Il terremoto ha lasciato anche domande, pesanti come macigni, circa la qualità e la sicurezza del costruito, così come un ulteriore macigno sono state le procedure farraginose, le divisioni territoriali e le lentezze burocratiche. Il terremoto ha allontanato migliaia di famiglie dalle quotidiani, le piccole abitudini, gli odori, le voci, i profili, i paesaggi di una vita. L’architetto inglese Ian Davis, uno dei maggiori esperti internazionali sulle emergenze da affrontare dopo i disastri naturali, descrive nel suo famoso libro Shelter after disaster come il maggior problema in caso di terremoti sia la corretta gestione del meccanismo di aiuto alle popolazioni colpite. Il rischio è sempre la devastazione del tessuto e delle risorse sociali locali, che diventano scarse per il processo di ricostruzione urbana e proprie terre, diluito i legami sociali, disperso i paesi tra tendopoli e alberghi ed è stato difficile per i cittadini farsi ascoltare, proporre nuove idee, introdursi all’interno dell’ingranaggio burocratico della ricostruzione. La difficoltà di mantenere vive le reti sociali ha ridotto al minimo il coinvolgimento degli aquilani nelle scelte per il proprio futuro. È stato infatti un “terremoto” anche vivere in tenda: un terremoto interiore, forse più tragico di quello che distrugge le pietre, in cui le persone si rendono conto di aver perduto per sempre i piccoli gesti civile: come è purtroppo noto, i disastri naturali possono diventare ottime occasioni per indossare le vesti del serpente biblico e ridere nottetempo dei terremotati, presto fonte di facili profitti per l’industria dell’assistenza. A questo proposito, Marco Geronimi Stoll si è fatto un’idea precisa del progetto E.V.A. : “L’emergenza è per antonomasia una sospensione della democrazia. Molta gente è in uno stato di inerzia coatta, quando hai perso tutto, casa, lavoro…che fai? Te ne stai nella tendopoli a giocare a carte e guardare la TV. La passivizzazione comporta anche una dipendenza, ti fa suddito dei favori e delle promesse, ti mette in ginocchio anche psicologicamente. È la seconda possibile reazione del cervello umano davanti all’emergenza, anche persone risolute e volitive possono sfondarsi nell’apatia. Però da quelle parti l’inverno è cattivo; il freddo, si sa, sveglia dal torpore. La cosa che più mi ha colpito è il sangue freddo: i piani sono lucidi, determinati, fatti (si direbbe) con calma, l’idea di una soluzione insieme, non individuale. ‘Se fosse successo solo a me, sarei stato solo’, dice uno dei partecipanti, ‘ma è successo a tutti, e ci si dà forza reciprocamente’. È l’altra risposta possibile della mente umana davanti all’emergenza: non la militarizzazione e il potere, non l’annichilimento passivo, ma la creatività e l’energia per provare strade nuove. L’uomo può essere meraviglioso, con risorse inventive sterminate, e quando si deve giocare il tutto per tutto, proprio allora, nelle situazioni più difficili e opprimenti, nascono le soluzioni più innovative ed evolutive”. Alla fine del 2010, l’inglese David Alexander, tra i massimi esperti europei di grandi disastri, è stato il curatore della ricerca “Microdis-L’Aquila” sul post terremoto in Abruzzo. Finanziata dall’Unione Europea, ha coinvolto l’Università di Firenze, delle Marche e quella dell’Aquila per esaminare un campione di quindicimila persone. I risultati mostrano moltissimi casi di depressione, crisi occupazionale, crescente utilizzo di alcol e droghe, aumento di atteggiamenti xenofobi, tutti effetti del senso di isolamento e dell’emarginazione che riducono le prospettive per il futuro. Il 71% dei terremotati ha dichiarato che la comunità è morta con l’arrivo del terremoto e il 68% vorrebbe lasciare al più presto l’attuale abitazione. Secondo la ricerca, questi effetti si potevano arginare: la poca attenzione delle istituzioni per l’aspetto sociale post terremoto contrasta con l’esperienza mondiale, che dimostra come sia necessario dare più potere alle comunità locali, a chi cioè ha un diretto interesse nella ricostruzione. La scrittrice Rebecca Solnit, che ha visitato più volte l’Abruzzo ed è autrice del libro. Un paradiso all’inferno, ha studiato cosa fanno le popolazioni dopo i disastri se vengono lasciate muovere all’interno di un orizzonte di reciproca solidarietà ed è giunta a un’idea originale e positiva: tra le macerie l’umanità si rivela migliore e da un dramma simile si può uscire più forti, più liberi e migliori. La scrittrice dimostra come Hollywood abbia consolidato l’idea che in condizioni estreme l’essere umano diventi una bestia in lotta per la sopravvivenza, ma, in realtà, accade che nella tragedia una comunità ritrovi se stessa e si riscatti: l’emergenza del presente è un disastro tale da liberare le persone. In queste situazioni i sopravvissuti si organizzano così bene che a distanza di anni ricordano quei giorni di autogestione quasi con nostalgia. Emerge una sorta di strana “gioia”, perché essere utili alla collettività è un’esperienza unica. Il progetto E.V.A. – Eco Villaggio Autocostruito attinge le sue forze proprio dal coinvolgimento diretto delle persone vittime del terremoto. Così una prassi operativa autogestita di mutuo aiuto, che ricorda molto da vicino il caso di Nuova Portis dopo il terremoto del Friuli del 1976, diviene un campo in cui sperimentare non solo particolari tecniche edilizie, ma soprattutto un nuovo modo di rapportarsi: un metodo d’intervento capace di utilizzare il potenziale costituito da quella che si può definire una “dimensione nascosta”, trascurata dal piano statale di ricostruzione e al di fuori dei meccanismi di mercato, che diventa espressione personale, elemento connettivo, moltiplicatore di legami e relazioni. La strategia di partenza si è basata su un presupposto preciso: l’emergenza non deve essere considerata un pretesto per imporre uno specifico standard costruttivo e sottovalutare le esigenze degli abitanti, ma è necessario intervenire nella ricostruzione tramite una progettazione partecipata, ascoltando innanzitutto le esigenze della popolazione, per poi accompagnarla verso l’edificazione del proprio “spazio”, non solo fatto di materiale edilizio ma soprattutto di tessuto sociale. L’Eco Villaggio è composto da sette unità abitative temporanee per complessivi ventidue residenti, realizzate su terreni a poche centinaia di metri dal paese. I lavori sono iniziati il 19 agosto 2009 in completo autofinanziamento, grazie alla raccolta di donazioni spontanee e il lavoro di volontari e volontarie, anche non specializzati, arrivati da tutta Europa. Il progetto prevede l’utilizzo di platee antisismiche con strutture portanti in legno assemblate a secco e tamponature in balle di paglia, il tutto dotato di sistemi energetici fotovoltaici. La paglia entra in questo contesto più per necessità che per stravaganza o sperimentazione: una casa con murature in balle di paglia ha un ottimo comportamento sotto l’azione del sisma, le murature sono caratterizzate da un efficace isolamento termoacustico e sono semplici da costruire, adattandosi molto bene all’autocostruzione. Le balle utilizzate sono di dimensioni standard di 100x45x35 cm, quindi facili da sollevare e da posizionare e non richiedono competenze particolari per essere utilizzate. Una volta completata la struttura, la finitura è realizzata con intonaco di calce e sabbia sui due lati, rendendo le murature ignifughe e isolate. Aspetti interessanti sono anche l’economicità del prodotto e la velocità di costruzione: l’acquisto e il trasporto a casa di ogni balla, può costare tra 1,50 e 2,50 €, tanto che il costo di costruzione delle abitazioni è di circa 650€/mq. Al termine dell’emergenza il villaggio sarà adattato a scopi sociali per la valorizzazione turistica del paese. Autocostruire le abitazioni è un’esperienza articolata, ma allo stesso tempo gratificante, perché improntata sull’impegno di riuscire a ottenere in modo solidale una soluzione abitativa autonoma, autofinanziata, ecosostenibile e naturalmente antisismica. Grazie alla partecipazione e all’autocostruzione, il progetto E.V.A. dimostra come l’anima ferita di un territorio possa rivivere nelle singole persone e nei rapporti di gruppo: la complessità di relazioni, l’abitare, il lavorare, il ritrovarsi e mille altri comportamenti diventano fatti inscindibili tra loro e lo spazio si conforma ad essi organicamente. L’inaugurazione delle prime case nel febbraio 2010 è stata una grande festa.