5 – 11 febbraio 2010.
Pescomigliore.
Un comune abruzzese nel quale il terremto del 6 aprile ha reso inagibili molte case. Un gruppo di cittadini ha pensato «Meglio rimboccarsi le maniche». Ecco come nasce il villaggio ecologico.
di Gianluca Carmosino e Marco Geronimi Stoll
«SABOTATE LE CASE DI PESCOMAGGIORE». Lo ha detto Silvio Berlusconi in un messaggio a reti unificate. Il primo dei tre spot girati dal presidente muratore, imitato in modo splendido da Sabina Guzzanti, è sul sito geronimi.it; altri due spot lo saranno presto. Nel messaggio, Berlusconi si dice preoccupato per la scelta dei cittadini di Pescomaggiore di tirar su case accoglienti, ecologiche, che costano un terzo di quelle del governo. Cosa sta accadendo nel piccolo borgo di origini altomedioevali alle porte del Parco nazionale del Gran Sasso, cioè a una decina di chilometri da L’Aquila?
Il terremoto di aprile ha reso inagibile buona parte delle abitazioni. Il Comitato per migliorare la qualità della vita nel paese, composto da residenti e oriundi, era nato prima del sisma per promuovere campagne di informazione e per creare processi partecipativi e avviare progetti su agricoltura, turismo e arte locali. Dopo il 6 aprile, il Comitato ha deciso di realizzare «Eva», un ecovillaggio autocostruito e autofinanziato che può consentire a più nuclei familiari di restare nel paese. Ecco come.
Su progetto degli architetti Paolo Robazza e Fabrizio Savini e con l’assistenza tecnica di Caleb Murray Burdeau, esperto in bioarchitettura, si è deciso di realizzare, su terreni concessi in comodato da alcuni compaesani a poche centinaia di metri dal paese, un villaggio di bilocali e trilocali a basso costo e a minimo impatto ambientale, nel rispetto delle norme anti-sismiche. Le case sono costruite utilizzando legno e balle di paglia. L’utilizzo della paglia in quest’area è una tecnica nuova, ma che si inserisce in modo naturale nel paesaggio e risponde a un ideale di filiera corta, in quanto la materia prima sono balle di paglia fornite in loco dai campi di cereali, insieme alla farina che serve a fare il pane nel forno comune del paese. L’energia elettrica è invece fornita da impianti fotovoltaici e il riscaldamento da una stufa finlandese a legna,sufficiente a scaldare tutta la casa con appena un paio d’ore di accensione, perché la paglia e altri accorgimenti costruttivi rendono queste case calde d’inverno e fresche d’estate.
Il villaggio sarà presto dotato anche di un impianto di fitodepurazione e di compostiere dove i rifiuti organici verranno trasformati in fertilizzante per gli orti irrigati, anche grazie all’incanalamento dell’acqua piovana. Una volta soddisfatto il fabbisogno locale, il villaggio sarà aperto ad altri cittadini dell’aquilano che sono rimasti sena casa. Il costo delle abitazioni, circa ottocento euro al metro quadro [cioè un terzo di quello degli appartamenti del progetto C.a.s.e. imposto dal governo] è sostenuto da donazioni, grazie a una campagna che viaggia soprattutto su internet, e per la parte mancante dalle tasche dei beneficiari. Le donazioni finora hanno coperto un terzo dei costi.
A Pescomaggiore nessuno pensa che questo progetto sia alternativo al piano C.a.s.e. e neanche, come ha scritto qualcuno, che si poteva rispondere a un emergenza abitativa con case di paglia. Più semplicemente, un gruppo di terremotati ha deciso di fare altro, di fare da solo, ha rivendicato il diritto di vivere nella sua terra secondo i suoi gusti e le sue esigenze. «Molti hanno pensato a un progetto di vita a cui dedicarsi con entusiasmo — racconta Filippo Tronca, giornalista, collaboratore di Carta, tra i promotori di Eva — senza kafkiane riunioni di condominio, senza padroni di case a cui donare ogni mese il sangue. Poi certo gioca anche il rifiuto del piano C.a.s.e.»., perché non si può vivere per alcuni anni in un quartiere dormitorio vicino a una città che non c’è più».
Filippo dice anche che tanti hanno capito che vivere in un ecovillaggio costa molto di meno, perché ad esempio non serve una lavatrice per casa, ne basta una grossa per tutti, e perché si può fare un grande orto che incide in modo rilevante sulla spesa e sulla qualità alimentare.
In Abruzzo sono già quattro le richieste di case da costruire con la stessa tecnica in vari luoghi della regione. Per questo si costituirà una cooperativa edile che darà lavoro ai terremotati disoccupati, ai volontari e a chi, tra loro, ha deciso di andare a vivere a Pesco. Una casetta da cinquanta metri quadri super ecologica chiavi in mano potrebbe venire a costare appena cinquantamila euro. Ma a Pesco non si accontentano. Nella «sala riunioni», cioè nel frutteto antistante il villaggio, hanno, a lungo discusso di beni comuni, di Capitalismo e di offrire ai sottoscrittori la possibilità di diventare cittadini del villaggio e decidere sui suoi usi successivi, quando sarà ricostruito il paese. Anche per questo èstato pensato Alma, acronimo di Abitare lavoro memoria ambiente, un piano di interventi in campo ambientale, agricolo, artigianale e turistico. Nel sito http://eva.pescomaggiore.org si legge: «Alleveremo animali e coltiveremo zafferano e altre specie autoctone per conservare la biodiversità agraria. Pensiamo a un laboratorio perfare i formaggi, alla riattivazione del forno comune, alla creazione di un circuito di vendita diretta e di mutuo soccorso tra piccoli produttori agricoli», Oltre agli abitanti del paese, saranno partecipi del piano la Tavola Pescolana, che riunisce. i donatori per l’ecovillaggio di importi di almeno duecentocinquanta euro, e l’associazione Misa, composta dai beneficiari del villaggio e dai sessanta volontari che sono arrivati da ogni parte d’Europa.
Insomma, questo laboratorio di crescita è un verso scarto cognitivo, che mette insieme saperi, mestieri, immaginazione, persone. Cosi ecco le case di materiali naturali usate per il ricovero più antico, l’uomo contro il freddo, ma con soluzioni architettoniche colte, grazie a giovani architetti: la paglia è una materiale antico, ma il computer per calcolarne, l’efficienza no. E la proprietà comune: è neocapitalismo? È comunismo? Forse è una cosa diversa, una «lettera» dell’alfabeto del XXI secolo, ancora tutto da inventare.
Il terremoto della comunicazione
ALL’AQUILA, COME AD HAITI, ci sono stati due terremoti, quello vero e il set delle tv; i salvatori nella tragedia «vendono» benissimo sui tg. A L’ Aquila c’è stato, in più quel marketing del «noi abbiamo stanziato» che ha fatto passare tanti soldi davanti al naso di quarantamila senzatetto. Pagati tre volte dagli italiani, con le sottoscrizioni, con le tasse e intercettando fondi stanziati per altri scopi.
Città sovrappopolate e cambi climatici aumenteranno le catastrofi. Atterrisce l’idea che non convenga prevenirle e anzi rappresentino un buon marketing politico e un buon affare speculativo. Data la situazione sismica e idrogeologica italiana, la privatizzazione della Protezione civile contribuisce ad aumentare i brividi alla schiena. Meglio chiedersi come può reagire positivamente ciascuno davanti ad un evento cosi enorme e annichilente. La vicenda dell’ecovillaggio Eva, nel suo piccolo, ci dà un esempio concretissimo.
Un terremoto ti fa stare come una formica se danno un calcio al formicaio; la mente cerca ordine ma il disordine è incommensurabile. Come un bambino disperato, ti affidi. È la prima reazione della mente umana, tanto che un’emergenza sembra comportare una sospensione della democrazia. In questi frangenti si vede se chi comanda se lo merita. Quando ci dicevano che nelle tendopoli era proibito distribuire volantini, non potevamo crederci. Nei manuali di protezione civile c’è scritto che l’empowerment è una terapia del singolo e della collettività. Invece ovunque vedevi militari, gipponi, polizia, transenne. La seconda possibile reazione del cervello umano e l’inerzia, la tendopoli comporta una pazienza coatta: quando perdi tutto, casa, lavoro, affetti… che fai? Te ne stai a giocare a carte e guardare la televisione; la passivizzazione comporta anche una dipendenza, ti fa suddito di un mestolo di rancio, dei favori e delle promesse. Anche persone solitamente volitive possono sfondarsi nell’apatia.
Eppure quelli di Eva, che si sono tirati su le maniche, ci raccontano la terza reazione della mente umana, la creatività risoluta. Più drastico è il problema, più innovativa sia la soluzione. As esempio sul piano architettonico, scoprendo che la bioedilizia e l’autocostruzione sono più concrete ed economiche delle soluzioni«normali!. Così come su quello leale, con questa bella formula di proprietà condivisa. E su quello dell’informazione?
Ad agosto c’era solo una spianata dietro alle macerie e alle tende, quando da Pescomaggiore hanno chiesto a me, a Paolo Faustini e a Guido Bertola di comunicare l’idea dell’ecovillaggio. Grazie a Sabina Guzzanti per l’incoraggiamento e a Silvana Gatti che, nel lungo tragitto in macchina, mentre facevamo un po’ di brainstorming sul nome, ha avuto l’idea «Eva», che è piaciuta a tutti. Così è nato http://eva.pescomaggiore.org. Le notizie sono circolate by-passando i mezzibusti dei tg, rimbalzando tra blog e testate indipendenti. Vedete? Voi lettori, semplicemente esistendo, siete parte della terza soluzione.