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5 Luglio 2013.

La mia casa dalle pareti di paglia.

Stefano Landi

Facendo yoga da una vita, una certa attenzione all’ambiente l’ha sempre maturata. Febbraio 2010. Cristiana Trizzino, 45 anni, compra un terreno al Quadraro, vecchio quartiere di Roma di case popolari, molte delle quali costruite negli anni 50. Scopre poi che essendo la zona di interesse archeologico per costruire servivano svariati permessi dei Beni culturali. «Con tutti i soldi spesi in pratiche e consulenze, mi sono ritrovata a dover ripensare la mia casa con budget ridotti: così ho cominciato a studiare l’universo delle costruzioni alternative» racconta Trizzino che, da marzo, abita la prima casa di paglia costruita in una città italiana. Con lei, oltre a due cagnolini e una tartaruga, due figli di 10 e 12 anni entusiasti di una scelta quasi fiabesca. «La classe di mia figlia è venuta a visitarla durante i lavori: quando l’anno vista finita e intonacata ci sono rimasti male, sembrava una abitazione qualsiasi», spiega.

La scelta pioneristica della signora è dovuta all’incontro con il progettista Paolo Robazza, 36 anni, padovano trapiantato a Roma, che ha fatto dell’edilizia a basso impatto ambientale una ragione di vita. Prima di decidersi è andata all’Aquila dove Robazza si trasferì, nelle vesti di architetto free lance, dopo il terremoto a cercare lavoro. In testa e nel cuore aveva gli studi sul sistema di costruzioni in paglia fatte in Sud Africa. «Dormivo tra la gente in tenda, proponendo questa soluzione, ideale soprattutto in zone sismiche, a sindaci e comitati», ricorda. Termoisolanti, basso consumo energetico, comfort ambientale, facili da costruire, ma nel 2009 in Italia se ne conta solo una dalle parti di Venezia. Oggi grazie al lavoro di Robazza sono una trentina. Molte a Pescomaggiore, un paesino a 15 chilometri dall’Aquila. A Roma, ha riproposto il suo metodo di lavoro: il cantiere condiviso. «Per ogni costruzione organizziamo dei workshop per coinvolgere direttamente chiunque voglia imparare questa tecnica di architettura sperimentale». A Roma hanno partecipato una ventina di persone da tutta Europa.

Alla signora Trizzino, Robazza non aveva garanzie da offrire, ma un’ipotesi tecnicamente completa e futuribile. Un atto di fede davanti a qualcosa che in Italia non esisteva. «In città non c’era un termine di paragone ma i dati tecnici e l’entusiasmo dei ragazzi mi hanno contagiato», ricorda la proprietaria di casa. Lo scheletro in legno, poi la tamponatura in balle di paglia compresse fatte arrivare dalla Maremma laziale direttamente dai contadini coi loro camioncini. L’intonaco, applicato direttamente sulla paglia, composto di frammenti in laterizio frantumato e sabbia, una tecnica utilizzata dagli antichi Romani. I figli di Trizzino non erano gli unici affascinati dalla costruzione. Durante l’anno di cantiere, gli anziani del quartiere si presentavano in processione a seguire i lavori, affascinati come fossero al cinema. «Dalla mia camera da letto sentivo bussare gente che voleva toccare con mano la tenuta delle pareti» ricorda la signora. «Gli italiani sono più diffidenti davanti alle novità, però poi davanti alla casa compiuta mostrano un entusiasmo raro: oggi faccio un preventivo dietro l’altro, ma serve tempo per capire che questa è una tecnica su cui vale la pena investire», spiega Robazza. In Inghilterra ci sono almeno 10 mila abitazioni e, fuori Londra, è stato appena realizzato un quartiere popolare interamente in Paglia. In Francia, dieci anni fa messa come l’Italia, almeno duemila.

Trizzino dopo qualche mese traccia i primi bilanci: «Fresca d’estate, calda d’inverno, le bollette premiano la mia scommessa: rispetto alla casa dove vivevo a piazza San Giovanni l’isolamento è ottimo, spendo poco di riscaldamento, il termostato è stabile sui 20 gradi» spiega. Un unico problema: attaccare i quadri. Per quello hanno dovuto pensare a dei supporti in legno. Nella paglia è impossibile fare presa.