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9 aprile 2010.

Una mostra a Roma sul progetto Eva, ovvero la nascita di un borgo dopo il sisma Pescomaggiore una ricostruzione solidale e partecipativa.

Vittorio Bonanni

E’ arrivato a Roma il progetto Eva di Pescomaggiore, paesino a pochi chilometri dall’Aquila che si è cimentato con successo in un’idea di ricostruzione partecipativa ed ecologicamente compatibile. Martedì scorso, presso la bella Casa dell’Architettura, in piazza Manfredo Fanti, sede dell’ordine degli architetti, è stata inaugurata una mostra fotografica (visibile almeno fino al 20 aprile, ma non è esclusa una proroga fino al 30, e poi dal 7 maggio presso il Caffè letterario di via Ostiense) dedicata appunto all’autocostruzione di un ecovillaggio con tecnologie innovative nell’emergenza del post-terremoto in Abruzzo. Diciotto immagini, una didascalia di presentazione, gli articoli usciti sinora sul progetto e un breve filmato sull’andamento dei lavori sono sufficienti a spingere il visitatore a recarsi appena possibile in un luogo già dotato di un suo fascino naturale. Il perché della straordinarietà insita nel progetto Eva, che a distanza di un anno esatto ha permesso a quattro abitanti del piccolo borgo di origini altomedioevali situato alle porte del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga di godere delle loro nuove case sta appunto in due cose: la partecipazione dei cittadini, con tanto di ricorso all’autocostruzione e all’utilizzo di volontari, e un impatto ambientale minimo basato sul risparmio energetico e sul rispetto dcl paesaggio. La storia di Pescomaggiore è la stessa di tanti piccoli paesi dell’Appennino, vittime di uno spopolamento progressivo. Proprio per questa ragione gli abitanti, prima ancora del sisma del 6 aprile 2009, avevano deciso di organizzare un Comitato per la Rinascita, finalizzato al miglioramento della qualità della vita e al recupero dell’abitato storico con campagne di informazione e l’attivazione di microprocessi partecipativi nel campo dell’agricoltura, dcl turismo e dell’arte. Nonè stato dunque difficilissimo trasformare quell’obiettivo, diventato nel frattempo emergenza, in qualcosa che si differenziasse dai soliti modi di ricostruire un sito distrutto dal terremoto, dove molto spesso le decisioni vengono prese senza coinvolgere chi invece andrebbe naturalmente reso partecipe come la popolazione colpita. A questo punto, esattamente il 2 giugno scorso, inizia il percorso di Eva. Entra in ballo il Beyond architecture group (Bag) con gli architetti Paolo Robazza e Fabrizio Savini, assistiti dall’esperto in bioarchitettura Caleb Murray Burdeau. Si presentano li con un carrello tenda da utilizzare come studio case, incontrano assessori, sindaci, comitati e tecnici che introducono il gruppo a chi gestisce l’emergenza nei comuni e conoscono subito il Comitato per la Rinascita di Pescomaggiore. «Loro volevano trovare un modo per restare a vivere nel loro parse ma non sapevano come – dicono Robazza e Savini – noi cercavamo chi volesse sfruttare le nostre soluzioni e cosi partendo da esigenze professionali e individuali abbiamo ideato le linee essenziali dello sviluppo del progetto Eva». Cosi, su terreni concessi in comodato da alcuni abitanti del piccolo centro, è stato pensato un villaggio di bilocali e trilocali a basso costo e a minimo impatto ambientale nel rispetto ovviamente delle norme antisismiche ed edilizie. Sette case complessivamente, di 40 e 56 metri quadrati, costo 520 euro al metro quadrato, realizzate su una superficie di 3000 metri quadrati con l’uso di una tecnologia costruttiva che prevede l’utilizzo di strutture in legno portante e tamponature in balle di paglia, 1770 in tutto, una tecnica relativamente nuova che ben si inserisce nel paesaggio agrario abruzzese. Le stesse balle sono un prodotto dei campi di cereali del posto. Alcuni impianti fotovoltaici da un lato e una stufa a legna dall’altro serviranno a fornire energia elettrica e riscaldamento, in un contesto ambientale finalizzato a trattenere il calore il più possibile. E’ stato previsto anche un impianto di fitodepurazione e di compostiere dove i rifiuti organici verranno trasformati in fertilizzante per gli orti irrigati. Un progetto idilliaco, la cui realizzazione completa è a metà strada, come ci spiega Robazza: «Abbiamo inaugurato le prime due case – dice l’architetto – altre due sono in cantiere quasi terminate e poi ci sono altri due edifici da realizzare ex novo. Il nostro progetto – ci tiene a precisare il professionista – si distingue dagli altri per il livello di partecipazione che ha prodotto. I cittadini sono stati coinvolti sia in fase di progettazione, condividendo con loro le tipologie delle abitazioni, la sistemazione interna e la scelta della tecnologia costruttiva. E poi nella fase di realizzazione vera e propria, rendendoli partecipi fisicamente di tutti i vari momenti della costruzione. Tutto ciò che comportava la realizzazione della loro casa, dagli aspetti tecnici alle scelte progettuali fino ad eventuali cambiamenti, è stato condiviso e deciso insieme a noi. Questa partecipazione ha comportato alla fine un livello di qualità e di soddisfazione nettamente superiore ad altri interventi che potremmo definire di emergenza classica. L’architetto ci tiene però a precisare che questo approccio è poco estendibile ai grandi numeri. Non è una soluzione che può essere adottata nelle situazioni di emergenza più estese. Noi abbiamo a che fare con soli ventidue abitanti e sicuramente questo metodo può essere applicato a numeri più grandi ma non a decine di migliaia di persone. Non può essere insomma considerato il nostro progetto un’alternativa al progetto base. Troppo diversa la metodologia, troppo diversi i tempi, più lenti, troppo diversi anche i risultati che rispondono appunto a requisiti differenti. Possono sembrare dei limiti che pero nel nostro caso hanno portato dei vantaggi. Queste persone sono state tre mesi in più in tenda ma ora hanno una casa che sentono propria, che se la sono costruita e non devono pagare un affitto come fanno quelli che hanno avuto un’abitazione dalla Protezione civile.» Fabrizio Savini ci racconta invece come è nata l’idea di organizzare una mostra su Eva : «Avevo già preso contatti a dicembre con il nostro ordine – ci dice l’architetto – per saper che cosa pensavano del progetto. Loro si sono mostratisubito molto interessati e a gennaio hanno accolto l’idea di fare una mostra nella Casa dell’architettura. A fine febbraio, inizio marzo, quando abbiamo chiuso un cantiere, li abbiamo ricontattati e in tempi molto rapidi è stato deciso di organizzare l’esposizione e di contribuire all’idea con un piccolo finanziamento per le fotografie e il materiale utilizzato. Abbiamo poi pensato di inaugurarla il 6, proprio ad un anno dal terremoto, e anche se quel giorno la gente dell’Aquila non avrà avuto la possibilità di spostarsi a Roma per vederla, l’esposizione resterà ancora molti altri giorni a disposizione dei visitatori.»

Un risultato straordinario nato dalla capacità di dare delle risposte a determinati desideri e bisogni da parte di quei professionisti che possiedono le giuste competenze per darle mettendo altresì in moto un processo partecipativo senza il quale quelle stesse soluzioni non sarebbero state comprese ed accettate. E il tutto in un ambito dove il rispetto della natura e la solidarietà tra gli umani hanno fatto da motore alla soluzione di un grande e drammatico problema, come quello, in questo caso, della ricostruzione in un contesto post sismico.